Il territorio dell’attuale Trentino nel corso dei secoli è stato amministrato da differenti governi che ne hanno spesso mutato denominazione e confini. Dall’inizio dell’XI secolo, per ottocento anni, la maggior parte di questa regione, con al centro Trento, fu un principato ecclesiastico, istituito con diploma del 1027 dall’imperatore Corrado II. Il principato era stretto a nord e a sud fra due potenze che ne minacciavano l’integrità territoriale: la contea del Tirolo e la Repubblica di Venezia. Alla fine del XVIII secolo il Trentino venne occupato dalle truppe napoleoniche. La conclusione della guerra tra la Francia e l’Austria e la firma del trattato di Parigi del 1802 sancirono di fatto la fine del potere temporale del vescovo di Trento. Nel 1803 l’intero territorio fu quindi annesso alla monarchia austriaca, ma due anni più tardi la regione passò sotto l’amministrazione bavarese e nel 1810 fu, per poco tempo, parte del regno d’Italia. Nel 1814, con il Congresso di Vienna, il Trentino divenne nuovamente parte dell’Austria e tale sarebbe rimasto fino all’annessione all’Italia dopo la Prima guerra mondiale.
Il territorio del Trentino, prevalentemente montuoso, ha sempre mantenuto i necessari contatti con le pianure vicine. Le tracce della mobilità nell’area alpina si perdono agli albori della storia dell’uomo, ma è possibile riconoscere come ad un certo punto questi spostamenti si siano fatti più costanti e cospicui. I movimenti migratori dalla montagna alla pianura, nel periodo preso in esame, ricadevano entro due tipologie: la migrazione stagionale (ripetuta potenzialmente ogni anno) e quella “di crisi” che poteva essere temporanea o definitiva e che seguiva ad eventi eccezionali, quali pestilenze, carestie e fenomeni atmosferici estremi.
La migrazione stagionale programmata e ripetuta costituiva un vero e proprio sistema di produzione di reddito alternativo e integrativo all’agricoltura. Tra il tardo medioevo e la fine del Settecento gli spostamenti dei lavoratori erano limitati principalmente agli Stati confinanti, o comunque facilmente raggiungibili, e solo in alcuni casi verso regioni più lontane come la Russia. Per i migranti trentini le principali destinazioni furono dunque gli altri domini austriaci, il lombardo–veneto e il Tirolo in primis, le pianure del regno d’Italia e gli Stati dell’Europa centrale. Nel XV secolo l’occupazione veneziana del Trentino sud occidentale permise vantaggiosi contatti economici con Venezia che coinvolsero mercanti, artigiani e operai.
In queste prime fasi della storia dell’emigrazione furono coinvolti anche lavoratori che appartenevano ad una classe sociale medio-alta, che disponevano quindi dei mezzi economici per organizzare e finanziare il viaggio stesso. Si tratta della cosiddetta emigrazione “di mestiere” che conviveva con l’emigrazione bracciantile (entrambe erano stagionali) che però presupponeva una minore preparazione professionale ed un minore investimento. Le condizioni climatiche proprie di ogni valle del Trentino configuravano poi la specifica durata della migrazione stagionale, che era legata alla lunghezza dell’inverno e che quindi poteva lasciare il lavoratore libero dagli impegni agricoli per molti mesi (nelle alte valli) o solo per qualche settimana (a quote inferiori).
Il commercio ambulante ha caratterizzato, pur con numeri non altissimi, tutto il periodo che va dal medioevo all’epoca dello sviluppo dell’industria, cambiando nei diversi momenti storici le destinazioni principali e i prodotti trattati. La zona di partenza della maggior parte dei venditori ambulanti fu il Tesino. Da qui all’inizio del XVII secolo veniva commercializzata la silice per le pietre focaie, una volta esaurita tale produzione, in seguito nel Settecento i tesini si reinventarono venditori di libri e stampe collaborando con Giovanni Antonio Remondini di Bassano, proprietario di una delle maggiori stamperie dell’epoca. Più si allargava il raggio d’azione dei venditori tesini e più lungo diventava il periodo che essi trascorrevano lontano da casa. Alcuni di loro facevano ritorno in Trentino solo dopo diversi anni per rifornirsi di merce e poi ripartire. Si trattò di un’attività che inizialmente era stata complementare all’agricoltura, che rimaneva la principale fonte di reddito. In seguito la vendita di stampe divenne preponderante e la cura dei campi fu lasciata alla famiglia come attività marginale di integrazione. Per la fine del Settecento sono disponibili delle stime quantitative che individuano 170 capi-compagnia originari del Tesino (venditori) che avevano almeno un subalterno, perciò si può stimare che circa 400 – 500 persone in quell’area fossero coinvolte in questo tipo di commercio, su una popolazione di 5000 anime. Alcuni di questi venditori fecero fortuna in proprio ed aprirono negozi in diverse parti d’Europa. Si ricorda il caso di Giuseppe Daziaro che nel 1827 aprì diverse botteghe di lusso a Mosca, San Pietroburgo, Parigi e Varsavia.
Un altro movimento migratorio, attestato almeno dal XIII secolo, fu quello legato alla pastorizia. Quella del pastore è stata in diverse epoche storiche un’attività nomade o semi nomade: dai pascoli di alta montagna le greggi venivano spostate nelle pianure per il periodo invernale. Ogni zona montana aveva la propria destinazione di riferimento: i pastori delle valli di Fiemme e Fassa scendevano nella valle dell’Adige, quelli del Tesino in pianura padana, quelli del Primiero a Feltre e quelli dalla val di Sole in Lombardia. Si tratta di direttrici che si manterranno inalterate per secoli fino alla fine dell’Ottocento, quando il governo austriaco chiuderà il confine con l’Italia per circoscrivere la diffusione di malattie del bestiame. Solitamente i migranti provenienti da una stessa comunità si raccoglievano nelle medesime destinazioni. Ciò è testimoniato dal caso di Mantova, dove nel XVII secolo visse una comunità proveniente dalla val Rendena che innalzò il cosiddetto “altare dei rendenesi” nella chiesa di San Martino.
Ad altre professionalità, soprattutto artigiane, erano legati particolari movimenti migratori. Nel XVI secolo troviamo ad esempio i parolòti della val di Sole, venditori e riparatori di utensili in rame e ferro, i torcolòti di Tione impiegati come vendemmiatori e cantinieri nel Veronese e gli spazzacamini che dalla valle di Non si recavano in Lombardia e in Piemonte, per compiere un lavoro pericoloso e malsano svolto soprattutto da bambini sotto i dodici anni. In tutti questi casi si trattava di attività che coniugavano la produzione artigianale con il commercio e che potevano concludersi con l’apertura di una bottega e quindi con la migrazione permanente. Un caso particolare fu quello, di difficile datazione, dei suonatori della valle di Fassa che in piccole compagnie, si muovevano verso il Veneto, il Tirolo e la Germania per essere ingaggiati nelle feste private o di piazza. Pare che questa sia inoltre una delle prime attestazioni dell’inclinazione per la musica tipica del popolo fassano. A partire dal XVII secolo cominciarono i movimenti dei segantini delle valli Giudicarie, che avevano come destinazione la Lombardia. All’inizio il mestiere era sovrapponibile a quello del boscaiolo, in seguito si specializzerà e rimarrà poi invariato fino al XX secolo.
Nel corso del Settecento si sviluppò l’allevamento dei bachi da seta e la connessa coltivazione del gelso, che diede impulso all’industria serica. Si trattava di un settore produttivo che richiedeva diverse tipologie di lavoratori tra cui braccianti agricoli per la raccolta delle foglie del gelso e operai per le filande. Questo è il primo esempio di migrazione femminile di una certa consistenza, dato che nelle filande trentine, venete e lombarde venivano spesso impiegate le donne. L’emigrazione e il lavoro femminile non è legato solamente alle filande, ma durante il Settecento si registrano alcuni casi di donne impiegate nelle fattorie del Südtirol, o che seguivano i mariti nelle migrazioni stagionali nel lombardo-veneto. Alla fine del XVIII secolo hanno inizio alcuni fenomeni che arriveranno a dimensioni notevoli solo nel secolo successivo, come ad esempio i flussi legati all’apertura dei grandi cantieri pubblici in Europa, che richiamerà contingenti di muratori, manovali, scalpellini e minatori coinvolti nella costruzione di ferrovie, strade e opere pubbliche. Lo stesso avvenne per altre esperienze migratorie particolari che avranno pieno sviluppo nel corso dell’Ottocento, come ad esempio quella dei salumai e degli arrotini della valle Rendena.