A partire dal 1814, con i lavori del Congresso di Vienna, e fino alla Prima guerra mondiale, il Trentino era governato dalla monarchia asburgica (dopo il 1867 Impero austro-ungarico) e faceva parte della Contea del Tirolo il cui capoluogo era Innsbruck. La contea era divisa in sei circoscrizioni con a capo le città di Imst, Schwarz, Brunico, Bolzano, Trento e Rovereto. I territori degli Asburgo coprivano una vasta area che comprendeva interamente le attuali Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, alcune regioni di Polonia, Ucraina, Serbia e Romania.
Nel corso dell’Ottocento l’emigrazione trentina aggiunse direzioni inedite a quelle già praticate nei secoli precedenti. Il contesto geopolitico permetteva agli emigrati trentini di spostarsi all’interno di un grande Impero plurinazionale. Queste migrazioni interne si svolgevano attraverso territori che, pur presentando grandi differenze culturali e linguistiche, erano sottoposti alla medesima legislazione. Tuttavia, alla metà del XIX secolo, aumentarono anche le partenze verso i Paesi europei.
I movimenti migratori “di mestiere” che avevano avuto inizio nel Settecento, proseguirono nel XIX secolo ampliando il proprio raggio di azione e la gamma dei prodotti trattati. I perteganti (venditori ambulanti del Tesino) si specializzarono nel commercio di stoffe e strumenti ottici, dirigendosi in tutta Europa. I parolòti (venditori e riparatori di utensili in metallo della val di Sole) viaggiavano invece verso sud lungo l’Italia, ma la loro presenza è attestata anche in Francia. Gli spazzacamini, che partivano soprattutto dalla bassa valle di Non e dal Banale, e i segantini delle Giudicarie trovarono le migliori opportunità di lavoro nell’Italia settentrionale.
Tra il 1880 e la Prima guerra mondiale si ebbe il periodo di maggiore sviluppo e successo commerciale dei moléta, ossia gli arrotini. La maggior parte di questi lavoratori proveniva dalla val Rendena. Inizialmente si trattò di una migrazione stagionale e di prossimità con caratteristiche simili a quella degli altri artigiani ambulanti. Alla fine del XIX secolo invece il raggio di attività si aprì al mondo intero e i moléta si recarono in ogni continente creando associazioni di settore e colonie. La presenza più consistente si ebbe negli Stati Uniti d’America.
L’Ottocento vide anche emergere professioni nuove come quella dei careghéta (seggiolai) e dei kròmeri. I primi, costruttori e riparatori di sedie, dal Primiero e da Belluno si spostavano nelle pianure limitrofe restando lontani da casa da ottobre ad aprile. Gradualmente i loro percorsi si fecero più lunghi andando a raggiungere la Francia, la Svizzera, il Belgio, il Lussemburgo e tutto l’Impero austro-ungarico. I kròmeri (dal tedesco kramer) erano invece merciai ambulanti che dalla Valsugana e dal Tesino praticavano un’emigrazione stagionale a corto raggio recandosi in pianura Padana, Tirolo, Baviera e Svizzera. Tutte queste professioni (ad eccezione degli arrotini), che riunivano aspetti artigianali e commerciali e che si occupavano della riparazione degli oggetti, sparirono all’inizio del Novecento poiché rese obsolete dalla più economica produzione industriale.
La prima metà del XIX secolo si caratterizza per il grande impulso dato all’edilizia urbana dallo sviluppo demografico, che portò un numero notevole di muratori dalle montagne verso le città. Nella seconda metà del secolo vennero aperti i cantieri delle imponenti opere pubbliche che cambiarono la fisionomia dell’Europa e del mondo: strade, ferrovie, trafori, ponti, dighe, canali, argini e miniere. Alla massiccia richiesta di forza lavoro risposero anche i trentini dalle valli alte: Fiemme e Fassa, Lavarone, Folgaria e Luserna. Alcuni importanti cantieri coinvolsero proprio il territorio trentino: le bonifiche nel Basso Sarca e nella zona del lago di Caldonazzo, la bonifica e deviazione in vari punti del corso del fiume Adige (1854 – 1858), la costruzione della ferrovia del Brennero (inaugurata nel 1869). Per indicare i lavoratori impiegati in questo settore venne coniato il termine aisempòneri derivato dal vocabolo tedesco Eisenbahn che significa “ferrovia”. Gli aisempòneri si spinsero sempre più lontano da casa rincorrendo l’apertura dei nuovi cantieri, prima in Europa, poi nel continente americano e nel resto del mondo.
Uno dei primi cantieri per il quale vennero mobilitati lavoratori trentini fu quello per la rete stradale della Transilvania. Ebbe inizio nel 1851 e coinvolse una cinquantina di abitanti della val di Fiemme. I trentini parteciparono poi alla costruzione del traforo del Frejus e del San Gottardo, della galleria dell’Arlberg (sulla ferrovia tra Innsbruck e Costanza) e della galleria del Sempione. A partire dagli anni Ottanta gli aisempòneri trentini cominciarono ad affrontare viaggi più lunghi che li portarono in Russia, sulla transiberiana, nell’America del nord per la costruzione delle reti ferroviarie statunitensi e canadesi e a Panama per la creazione del canale.
Attorno alla metà del XIX secolo, la necessità di un reddito monetario per pagare le imposte statali produsse anche un significativo fenomeno di emigrazione femminile. La professione più diffusa fu quella delle domestiche nelle case private, che si dirigevano prevalentemente verso l’Italia settentrionale e centrale, verso il resto dell’Impero austro-ungarico e verso la Germania. Per quel che riguarda le migrazioni femminili bisogna ricordare come il Trentino sia stato anche terra di immigrazione. Furono chiamate ciòde le lavoratrici stagionali, provenienti dal Veneto (Feltre, Belluno e Vicenza) o dal bresciano, che trovavano impiego come braccianti agricole, o, meno frequentemente, nel commercio ambulante. Il socialista e deputato al parlamento di Vienna Cesare Battisti (1875 – 1916) nei suoi studi sulle migrazioni che coinvolsero il Trentino, stimò in circa 2000 le presenze annue di queste figure di immigrate. Le donne coinvolte potevano avere dai 7 ai 45 anni, con un picco nella fascia 20 – 30, e non era infrequente la presenza di qualche bambino maschio sotto i 14 anni. Ciòde e ciòdeti, favoriti dal cambio tra corona austriaca e lira italiana, si adattavano a svolgere quelle professioni di bassissimo livello che le donne trentine non volevano più fare.
Nella seconda metà dell’Ottocento il continente americano si impose come nuova destinazione ideale per gli emigranti trentini ed europei in generale. Le cause che portarono i Trentini ad un graduale e poi intenso fenomeno migratorio furono molteplici. Tra queste possiamo ricordare il cambiamento dei confini politici con la Lombardia (nel 1859) e il Veneto (nel 1866) che dall’Austria passarono al Regno d’Italia. Il Trentino si trovò ad essere così confine meridionale tra Austria e Italia, con la conseguente introduzione di un nuovo regime di dazi. Seguì poi la crisi finanziaria con il crollo della Borsa di Vienna (1873) e l’introduzione di un regime di imposte fondiarie che penalizzava le piccole proprietà e minava il precario equilibrio di un’economia di sussistenza. A tali fattori si aggiunsero una serie di condizioni sfavorevoli che portarono ad una grave crisi nell’agricoltura e nelle manifatture: a metà Ottocento la coltivazione della vite fu devastata dalla crittogama con gravi ripercussioni sulla produzione di uva e sul mercato di vino. Anche la coltivazione del baco da seta si dimezzò in pochi anni a causa della pebrina e l’industria serica trentina non resse la concorrenza delle sete orientali e dei setifici moderni d’Europa. Inoltre, tra il 1882 e il 1889, il territorio fu colpito da tre disastrose alluvioni che devastarono il territorio. La malattia della pellagra, infine, contribuì a peggiorare le già difficili condizioni di vita della popolazione trentina.
I primi ad approfittare del nuovo sbocco furono coloro che avevano già maturato la cultura della mobilità: i venditori e gli artigiani ambulanti. I perteganti del Tesino furono i primi Trentini ad emigrare oltreoceano, soprattutto in Messico, ma si ebbero anche casi, piuttosto isolati, di perteganti emigrati in Australia e Asia. In generale i contadini trentini si rivolsero (come molti europei) al continente americano che grazie allo sviluppo dei trasporti non era più così lontano. La maggiore attrattiva, soprattutto per quel che riguarda il Sudamerica, era la disponibilità di vaste terre incolte. Brasile e Argentina in particolare erano Stati con una bassa densità di popolazione e numerose estensioni da coltivare e popolare. I governi dell’America Latina intendevano mettere a coltura questi grandi territori e contemporaneamente sostituire, con metodi spesso violenti, la popolazione indigena con gli immigrati di origine europea. I contadini trentini erano attratti dalla possibilità di diventare proprietari della terra e di poter mantenere uno stile di vita arcaico, lontani dalle sfide che la modernità imponeva in Europa, in primo luogo la laicizzazione della società e il lavoro femminile.
Il governo austriaco non vedeva di buon occhio l’emigrazione, ciononostante non espresse mai una legge organica per proibirla, ma impose limitazioni volte a scoraggiarla, preoccupato per l’assottigliarsi della popolazione e del potenziale esercito. Furono gli abitanti delle basse valli a partecipare in maniera più consistente alla migrazione oltreoceano: Valsugana, valle dell’Adige e valle dei Laghi. Gli unici esempi di territori ad altitudini maggiori furono la Vallarsa e il Primiero. Questa caratteristica venne rilevata già all’epoca da Don Lorenzo Guetti (1847 – 1898). L’ecclesiastico, fondatore della Cooperazione Trentina e studioso dell’emigrazione, compilò una statistica delle partenze verso il continente americano negli anni 1870 – 1887 con dati rilevati dai libri parrocchiali. Per gli anni in questione riporta la cifra di quasi 24 mila individui emigrati verso il sud America (78%) e il nord America (22%) stimando in 7,5% il tasso di emigrazione in rapporto alla popolazione complessiva del Trentino nel 1870. Quando cominciarono le grandi migrazioni transoceaniche le donne seguirono i mariti partecipando al loro percorso professionale. Don Guetti rileva, sempre per questo periodo, un 30% di emigrazione femminile. Una ricerca effettuata nel 1987 ha censito circa 65.000 documenti di espatrio, ma non pochi erano quelli che partivano con passaporti scaduti o addirittura senza. Nei decenni di fine Ottocento, nonostante le strategie dissuasive del governo, i trentini emigrarono praticamente in ogni angolo del globo, raggiungendo la Nuova Zelanda per mettere a coltura le terre inesplorate, le miniere del Sudafrica e dell’Australia per rincorrere il miraggio dell’oro.
All’inizio del Novecento il Trentino vide una ripresa dell’economia dopo la crisi degli anni Ottanta. Vennero recuperati i boschi danneggiati dalle alluvioni e venne modernizzata l’agricoltura per renderla più produttiva. Si sviluppò il settore idroelettrico, l’edilizia e una prima forma di turismo alpino, ad opera soprattutto degli scalatori inglesi. Tuttavia l’emigrazione non si arrestò e coinvolse anche le valli poste ad altitudini maggiori: le valli di Non, Sole, Fiemme, Fassa, le Giudicarie Inferiori, Cembra e l’Altopiano di Piné. Anche per questo periodo i dati sono frammentari ed incompleti: nel 1912, anno in cui si tenne a Trento il primo Congresso generale dell’emigrazione trentina, si calcolava che fossero ancora circa 20 mila le partenze annuali dal Trentino.
Per maggiori informazioni
Guarda la puntata Migrare: dal Trentino al mondo 1870-1914 dedicata alla storia dell’emigrazione trentina tra Otto e Novecento. A cura dell’Area educativa dalla Fondazione Museo storico del Trentino con la partecipazione di Nicola Sordo. Puntata a cura di: Elisabetta Antonelli, Michele Toss e Sara Zanatta.
Guarda la puntata Migrare: dal Trentino all’Europa 1850-1980 dedicata alla storia dell’emigrazione trentina tra Otto e Novecento. A cura dell’Area educativa dalla Fondazione Museo storico del Trentino con la partecipazione di Nicola Sordo. Puntata a cura di: Elisabetta Antonelli, Michele Toss e Sara Zanatta.
Consulta le pubblicazioni di Mondotrentino.it
Bibliografia storica sull’emigrazione trentina
M. Bosetti, Frammenti lontani: racconti degli emigrati, Provincia autonoma di Trento, 1993
C. Grandi (a cura di), Emigrazione: memorie e realtà, Provincia autonoma di Trento, 1990