La regione dell’attuale Bosnia-Erzegovina fu parte dell’Impero Austro Ungarico a partire dal 1878. Con la fine della guerra russo-turca infatti il congresso di Berlino decise di affidare quell’area geografica percorsa da secoli di conflittualità all’amministrazione dell’Austria-Ungheria. La Bosnia Erzegovina rimase all’interno dell’Impero Austro-ungarico fino al suo smembramento in seguito alla prima guerra mondiale.
Il governo austriaco avviò da subito una serie di riforme nell’area, tra queste era compresa la colonizzazione agricola il cui scopo doveva essere la redistribuzione della proprietà terriera (fino a quel momento organizzata in latifondi) ed una diluizione della componente mussulmana nella popolazione. Da ogni parte dell’Impero vennero trasferiti coloni di religione cattolica appartenenti alle diverse nazionalità: tedeschi, polacchi, cechi, rumeni e tirolesi.
Anche i trentini furono coinvolti in quella che di fatto era una migrazione interna dato che il territorio dell’attuale Trentino rientrava all’epoca nella contea del Tirolo.
Già nel 1878-1879 qualche centinaio di operai trentini si trovavano nei Balcani.
Si trattava degli aisempòneri al lavoro sulla ferrovia Vienna-Zagabria-Sarajevo. Nel 1880 La Gazzetta di Trento comunicava l’esistenza di una colonia Tirolese presso Costainiza ma non si sa se si trattasse di trentini o di tirolesi tedeschi. Nel giugno 1882 il governo austriaco rese pubblico il progetto ufficiale di colonizzazione che prevedeva l’assegnazione di terre demaniali da pagare a rate con inizio differito. Altre agevolazioni sarebbero state la fornitura gratuita di legname da costruzione, l’esenzione fiscale per dieci anni e lo sconto sulle spese di viaggio. Nonostante il progetto sembrasse ben strutturato erano frequenti le raccomandazioni affinché emigrassero solo coloro con disponibilità economiche sufficienti per sopravvivere per i primi anni in cui la terra poteva non fruttare abbastanza.
Tra il settembre e l’ottobre del 1882 delle alluvioni devastanti fecero precipitare la situazione economica del Trentino, le valli più colpite furono quella dell’Adige e la Valsugana. Nel primi mesi del 1883 si ebbero, di conseguenza, le prime partenze alla spicciolata e in maniera non organizzata.
Il primo gruppo organizzato partì solo il 15 settembre 1883. Si trattava di una trentina di famiglie dirette verso la Bosnia. I trasferimenti si susseguirono anche nell’anno seguente: 40 famiglie si spostarono in Erzegovina, altre 30 in Bosnia, nel 1884 partirono 20 famiglie in marzo e altre 40 persone in aprile. Considerando anche le partenze alla spicciolata prima e dopo quelle organizzate si può stimare la consistenza del flusso in circa 1.500 persone tra il 1878 e il 1914.
Le famiglie che si trasferirono in Erzegovina andarono incontro alle maggiori difficoltà. Giunsero a Konjic (a sud-ovest di Sarajevo) in autunno quando non era possibile avviare alcun tipo di coltivazione. Si trattava di nuclei famigliari poverissimi che non disponevano di alcuna fonte di sostentamento. Non trovarono ad attenderli il bestiame promesso e per mesi dovettero vivere all’interno di grotte in condizione molto precarie. Numerose famiglie appartenenti a questo gruppo rientrarono in Trentino non molto tempo dopo.
Il gruppo di migranti più consistente e più fortunato fu quello che si diresse verso la Bosnia. Si stabilirono tra Maglaj, Banja Luka, Laktasi, Kobatovci e Prniavor. Nonostante anche da questi paesi ci fossero stati dei rimpatri si crearono catene migratorie in direzione di due città: Maglaj al Vrbas divenne il punto di attrazione per i migranti che partivano da Aldeno e da Trento e Prniavor per i valsuganotti. Dovettero comunque passare alcuni anni perché le colonie riuscissero a fornire una resa soddisfacente per il sostentamento di tutti i componenti. Gli emigrati anche dopo anni dalla partenza rimanevano cittadini del loro Comune di origine con il quale mantenevano i contatti: non erano infrequenti le suppliche per ottenere aiuti, soprattutto quando i raccolti erano scarsi. Le molte richieste di indumenti indicano come l’economia delle colonie non si sollevasse oltre il livello della sussistenza. La questione della proprietà della terra trovò soluzione solo nel 1910 quando in seguito ad una supplica, Francesco Giuseppe in persona acquistò “di tasca propria” la terra della colonia Mahovljani dal Comune di Sarajevo per donarla ai coloni.
L’altra colonia di cui è nota la vicenda fu Stivor, creata quasi interamente da famiglie provenienti dalla Valsugana. I documenti relativi alla vicenda di questi gruppi di migranti sono meno numerosi rispetto a quelli di altre zone e riguardano solo le famiglie partite dopo il 1883 (anche se probabilmente qualcuno espatriò anche in precedenza). E’ confermata la partenza nella primavera del 1884 di 28 famiglie (136 persone) assistite dalle autorità austriache. Al loro arrivo i coloni ricevettero delle terre da coltivare in diverse zone della Bosnia, talvolta non quelle inizialmente prospettate. I trasferimenti interni dei coloni furono quindi molto frequenti nei primi anni sia alla ricerca di terreni migliori che per avvicinarsi ai compaesani. A partire dagli anni ’90 dell’Ottocento i valsuganotti si raggrupparono attorno all’abitato di Stivor e sebbene anche loro fossero andati incontro ad alterne fortune dovettero riuscire a creare condizioni di vita sostenibili dato che non sono registrati casi di rimpatrio da quella zona. I migranti erano tutti contadini che avviarono la coltivazione dei prodotti che meglio conoscevano, in primis l’uva. La produzione e la vendita del vino, che in queste zone non erano state praticate fino a quel momento, furono un’importante fonte di reddito per i trentini. Un’altra abilità che permise di integrare le economie famigliari fu quella nell’edilizia: i trentini furono sempre in grado di costruire la propria casa e di impiegarsi temporaneamente presso i locali.
A partire dal 1889 sono ricordati i casi di alcune famiglie del Primiero interessate al trasferimento in Bosnia. Un buon gruppo si raccolse nella zona di Tuzla. A differenza dei trentini stanziati in altre aree quelli che giunsero a Tuzla non erano partiti con l’intenzione di fare i contadini ma alla ricerca di un lavoro salariato. Tuzla era infatti una città molto industrializzata, con saline, industrie siderurgiche, cantieri pubblici e un crescente sviluppo urbanistico. La maggiore concentrazione di partenze dal Primiero si ebbero tra il 1890 e il 1925.
Nel primo dopoguerra, con la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, i Trentini residenti in Bosnia Erzegovina si trovarono in una posizione scomoda e dai contorni incerti: erano considerati Italiani da parte del governo di Roma e Austriaci da parte del governo jugoslavo. La questione venne affrontata solo nel 1939 quando il ministro degli esteri italiano Galeazzo Ciano raggiunse un accordo con le autorità di Belgrado. Ai discendenti dei trentini che desideravano essere italiani vennero dati sei mesi di tempo per rinunciare a tutti i diritti e i possedimenti e abbandonare la Jugoslavia. Delle circa 120 famiglie di origine trentina residenti in Bosnia, 96 (la maggior parte provenienti dalla colonia di Mahovljani) scelsero il rientro in Italia e vennero destinate dal governo ad occupare alcuni poderi nell’agro pontino tra Aprilia e Pomezia. In Bosnia rimasero una ventina di famiglie che si mescolarono ai contadini bosniaci.
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