I primi europei a stabilire una forma di colonizzazione in Uruguay furono i portoghesi, che già si trovavano in Brasile, e che fondarono nel 1680 Nova Colonia do Sacramento alla foce del Rìo de la Plata. Temendo l’espansionismo dei portoghesi sulla confinante Argentina, gli spagnoli edificarono nel 1726 la città-guarnigione di Montevideo. Si aprì una fase di conflitto tra le due potenze imperialistiche per il possesso del territorio che veniva allora chiamato Banda Oriental (cioè ad est del Rio de la Plata). Le guerre tra Portogallo e Spagna terminarono nel 1776 con la vittoria di quest'ultima e l'annessione della Banda Oriental nel viceregno del Río de la Plata.
L’indipendenza dell’Uruguay dalla Spagna si realizzò all'interno del generale processo di emancipazione dalla dominazione coloniale che investì l’America Latina nel corso del XIX secolo. La lotta per l’indipendenza, iniziata nel 1810, si protrasse per anni resistendo ai tentativi di annessione avanzati sia dal Brasile che dall'Argentina. Nel 1828 col trattato di Río de Janeiro i due stati maggiori si impegnarono a riconoscere e rispettare l’indipendenza e la sovranità dell’Uruguay. Con l’approvazione della nuova costituzione nel 1830 venne ufficialmente proclamata la repubblica.
Nel 1880 il governo uruguayano promulgò una Legge per le colonie (sull'esempio della corrispettiva norma argentina) che prevedeva lo stanziamento di fondi per la colonizzazione agricola di aree rurali incolte con il ricorso agli immigrati europei. Il governo uruguayano, per quel che riguarda gli immigrati italiani, espresse una preferenza (basata sostanzialmente sul pregiudizio) per i lavoratori del nord Italia rispetto a quelli del meridione.
Nella prima fase dell'emigrazione quindi, alla fine del XIX secolo, tra gli italiani in Uruguay il 60% proveniva da Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli e Trentino (all'epoca parte dell'Impero Austro Ungarico). Se si guarda però ad un periodo più ampio e successivo, tra il 1880 e il 1920, l'immigrazione dal Meridione costituisce il 70% dell'intero flusso dall'Italia (in questo caso i trentini sono esclusi dal conteggio). Vi furono esempi di emigrazione concordata tramite contratti governativi come quello stipulato da Emilio Taddey tra il 1888 e il 1889 per il trasferimento di 3.000 famiglie contadine dal nord Italia. A queste 10.000 persone circa venne pagata la traversata e fu assegnata della terra da coltivare. L'esperienza diede risultati diversi a seconda dei casi, ci fu chi riuscì a fare una discreta fortuna mentre alcuni dovettero essere rimpatriati o tentare una nuova emigrazione. Tra il 1885 e il 1889 furono 27.000 gli Italiani che arrivarono in Uruguay (il 60% degli immigrati totali). L'ultimo decennio del XIX secolo fu segnato da una grave crisi economica che pose un freno all'immigrazione e gettò nella miseria molti dei coloni. L'Uruguay fu anche una meta importante per l'emigrazione politica. Nella seconda metà dell'Ottocento accolse garibaldini e mazziniani mentre molti anni più tardi fu il rifugio per alcuni antifascisti anche trentini.
L'emigrazione trentina in Uruguay si inserisce nel quadro delle migrazioni di professione che coinvolsero i trentini a partire dal Medioevo. Alcune professioni ambulanti prevedevano la lontananza dal paese natale per diversi mesi e più si allargava il raggio d'azione del lavoratore (di pari passo con la facilità degli spostamenti) più si allungava il tempo di permanenza lontano da casa. Tra le professioni ambulanti quella del pertegante contribuì a portare i trentini anche nel continente americano. I perteganti (dal verbo pertegar che significa camminare in dialetto trentino) erano venditori ambulanti che provenivano in maniera preminente dal Tesino. All'inizio del XIX secolo le loro destinazioni comprendevano anche il continente americano, furono probabilmente i primi trentini a prendere questa direzione. In Sudamerica commerciarono soprattutto stampe e libri di soggetto religioso. Non è possibile ricostruire i dati precisi per quel che riguarda l'emigrazione dei trentini in Uruguay perché spesso nelle rilevazioni del passato le destinazioni del Sudamerica venivano confusa o aggregate sotto la denominazione di “Paesi del Plata”. Nella Statistica dell'emigrazione americana avvenuta nel Trentino dal 1870 in poi compilata da Don Lorenzo Guetti nel 1888, sono registrati 25.000 trentini emigrati verso l'America meridionale: il dato raggruppa però Uruguay, Cile, Colombia e Venezuela.
I trentini sono attestati a Montevideo già a partire dal 1860 sebbene in numero limitato. È nota la vicenda di Pietro Bresciani, orologiaio di Riva del Garda che combatté con Garibaldi a Bezzecca. Al termine della campagna militare emigrò dapprima a Lugano e poi in Uruguay dove aprì un proprio negozio di orologeria e oreficeria. Venne poi raggiunto dal fratello Luigi e dal cugino Domenico che non ebbero la stessa fortuna, il primo si trasferì poco tempo dopo in Argentina mentre il secondo fece ritorno in patria nel 1879. Della famiglia Bresciani sono conservati, nell'Archivio della Scrittura popolare presso la Fondazione Museo storico del Trentino due epistolari (1868-1919 e 1939-1955) e una quarantina di fotografie.
A partire dal 1878 sono noti piccoli gruppi e singole persone che partirono alla volta delle colonie agricole uruguayane, da Bezzecca, dalla Val di Fiemme, dalla Valsugana e dalla Valle dell'Adige.
Anche in questo caso possiamo fare ricorso alla documentazione conservata presso l'Archivio della Scrittura popolare nella quale è conservato l'epistolario della famiglia Giovannini di Mezzocorona: lettere che testimoniano dell'emigrazione e della vita in Uruguay e in Brasile di alcuni componenti della famiglia. La scarsità di dati certi permette solo di ipotizzare una stima della presenza dei trentini in Uruguay che entro il 1914 poteva raggiungere un massimo di mille persone.
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