Australia

L’Australia comincia ad essere un Paese dalle forti attrattive per i lavoratori stranieri a partire dalla metà del XIX secolo quando vengono scoperti i giacimenti auriferi nelle regioni di Victoria e Nuovo Galles del Sud. L’emigrazione in questa prima fase si caratterizza per essere temporanea e individuale, non coinvolgendo mai interi nuclei familiari.

Gli immigrati, tra cui i primi trentini, che arrivarono in Australia a partire dal 1850 circa, non si stabilirono in comunità; corrispondevano piuttosto alla fisionomia del “pioniere”. In quel periodo, ancora di scoperta di un territorio nuovissimo, gli immigrati avevano il solo obbiettivo di guadagnare più soldi possibile in maniera rapida. Si dedicavano quindi esclusivamente al lavoro, spostandosi con frequenza dov’era maggiore la richiesta di manodopera. Erano i cosiddetti swagman, lavoratori dalla vita nomade, estremamente essenziale e con poche interazioni sociali. Si spostavano a piedi, da una fattoria all’altra, da un cantiere ad un altro portando tutti i loro averi sulla schiena arrotolati in un fagotto, uno swag appunto. I contatti con gli australiani erano piuttosto limitati, sia a causa della lingua che del sostanziale disinteresse verso l’integrazione in un Paese in cui non si immaginava di rimanere più del necessario. Sussisteva inoltre la volontà da parte degli australiani di origine britannica di preservare il più possibile la propria cultura intatta quindi, pur riconoscendo la necessità di forza lavoro, l’accoglienza nei confronti degli immigrati non britannici non era buona.

Ciononostante l’immigrazione dall’Italia e dal resto d’Europa continuò e nel primo dopoguerra arrivarono anche i nuclei familiari, talvolta per ricongiungersi con gli uomini arrivati in precedenza. In questa seconda fase non era più l’oro la principale attrattiva quanto la terra e l’emigrazione era immaginata come una soluzione quantomeno di lungo periodo se non permanente. I trentini, prevalentemente agricoltori, si impiegarono nelle piantagioni di canna da zucchero e di tabacco del Queensland e del Victoria, nei vigneti che cominciavano a diffondersi oppure vennero assunti come boscaioli e minatori.

Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale la condizione degli immigrati italiani si fece ancora più difficile. Italia e Australia combattevano su fronti opposti e la maggior parte dei maschi italiani immigrati vennero internati in campi o assegnati ai lavori coatti. Chi rimaneva in libertà era costantemente controllato e sottoposto a restrizioni. A partire dal 1943 vennero fatti arrivare in Australia i prigionieri di guerra. Gli italiani, tra cui i trentini, furono più di 18 mila e di questi almeno 15 mila vennero impiegati come manodopera coatta nelle fattorie degli australiani impegnati al fronte. Questa situazione, paradossalmente, diede modo agli italiani di farsi apprezzare ponendo le basi per la terza fase di immigrazione italiana in Australia, la più rilevante dal punto di vista numerico.

Immediatamente dopo la fine della guerra, un gran numero di ex prigionieri decise di tornare a lavorare in Australia. Nel 1951 fu stipulato un accordo tra i due Paesi che garantiva l’ammissione in Australia di 20 mila italiani all’anno per cinque anni e stabiliva alcune agevolazioni per il viaggio e l’alloggio. Le politiche relative all’immigrazione dei vari governi australiani furono comunque sempre di tipo restrittivo, commisurate alla necessità di forza lavoro in un dato momento o in una certa area geografica e con l’attenzione a garantire che la predominanza inglese non venisse messa in discussione.
I trentini trovarono impiego in quasi tutti i settori e contribuirono alla costruzione delle grandi infrastrutture del continente. A partire dalla fine degli anni ’60 l’emigrazione dal Trentino cessò quasi del tutto anzi, la maggior parte degli emigrati rientrò in patria tanto che la comunità trentina in Australia è attualmente ridotta a qualche migliaio di persone.

Un caso particolare di emigrazione dal Trentino all’Australia fu quello di don Angelo Confalonieri, missionario cattolico di Riva del Garda, che venne mandato nel 1846 nella Coburg Peninsula nell’estremo nord dell’Australia, in una zona molto remota per svolgere la sua opera di evangelizzazione presso gli aborigeni. Angelo Confalonieri raggiunse un notevole livello di confidenza e di conoscenza degli indigeni di quelle regioni tra i quali morì di malattia dopo soli due anni.

Per maggiori informazioni consulta le pubblicazioni di Mondotrentino.it

F. Massarotto Raouik, L’emigrazione trentina al femminile. Stati Uniti e Australia: via dalla solitudine, Provincia autonoma di Trento, 1996


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