Il Canada cominciò ad essere raggiunto in maniera regolare dagli europei, soprattutto francesi e inglesi, a partire dalla fine del XV secolo e, alla metà del Settecento, il paese era già nel pieno del suo sviluppo. La prima attrattiva per le imprese europee fu la ricchezza delle risorse marine: la pesca e soprattutto la caccia alla balena. In seguito cominciò lo sfruttamento delle risorse del continente. Grande diffusione ebbe la caccia agli animali da pelliccia, un bene di lusso di cui c’era grandissima richiesta in Francia. Tra francesi e inglesi si verificarono continue battaglie per il controllo delle risorse che rispecchiavano peraltro le ostilità esistenti fra i due paesi in Europa. Nel 1763 il controllo dell’intero Canada passò nelle mani della Gran Bretagna, ma le tensioni con la componente francese della popolazione non furono mai del tutto risolte. Nel 1867 venne approvato l’atto di nascita del moderno stato indipendente del Canada nella forma della confederazione di stati. A partire da quel momento l’obiettivo della neonata nazione fu l’espansione territoriale che causò sanguinosi scontri con le popolazioni native.
Nello stesso periodo si registrò una forte crescita economica con lo sviluppo dell’agricoltura, dell’industria e delle infrastrutture. In particolare venne ampliata la rete ferroviaria. La Canada Pacific Railway fu un’enorme impresa che mise in collegamento il paese da costa a costa e aprì le grandi praterie allo sfruttamento agricolo. Per lo sviluppo di tutti questi settori era necessaria molta manodopera che venne richiamata sia dall’Europa che dall’Asia. Gli irlandesi, a seguito della carestia del 1846 che causò un milione di morti, furono i primi europei ad emigrare verso il Canada in maniera massiccia; successivamente il fenomeno dell’emigrazione esplose in tutta Europa tanto che nel 1847 furono in 100 mila a sbarcare in Canada.
Nel corso dell’Ottocento gli emigranti italiani scelsero solo in maniera sporadica questa destinazione e si indirizzarono quasi esclusivamente verso la città di Montreal dove, nel 1870, è attestata una prima associazione di lavoratori italiani. Nel censimento del 1901 è registrata la presenza in tutto il Canada di 6854 immigrati italiani. Si tratta di un primo limitato gruppo che fece da traino per i flussi successivi. Una seconda fase di emigrazione si ebbe all’indomani della Prima guerra mondiale, mentre il periodo di maggiore afflusso di italiani si realizzò nel secondo dopoguerra. I lavoratori italiani vennero reclutati soprattutto per l’ampliamento e la manutenzione dell’estesa rete ferroviaria e per le attività legate al taglio e al trasporto del legname. Molto spesso si trattava di lavori temporanei che coinvolgevano anche gruppi di immigrati residenti negli Stati Uniti che si spostavano in Canada stagionalmente. L’anno 1913, con quasi 28 mila ingressi di italiani, segna l’inizio di un incremento progressivo. Nel 1921 infatti risultavano 66.769 residenti di origine italiana e dieci anni dopo 98.173.
Per gran parte del XX secolo l’opinione pubblica canadese si mostrò molto diffidente nei confronti degli immigrati, soprattutto di quelli provenienti dall’Europa meridionale. La discriminazione era molto diffusa e si basava su un immaginario costituito da pregiudizi negativi. Tale atteggiamento favorì lo sviluppo delle associazioni di immigrati: in un primo momento queste erano espressione di una comune provenienza regionale o provinciale, successivamente, con lo scoppio della Prima guerra mondiale, contribuirono alla costituzione di un’identità nazionale unitaria. Nel primo dopoguerra si ebbe una graduale distensione delle relazioni tra canadesi e immigrati, una maggiore integrazione degli italiani nella società canadese e un primo accesso a livelli più alti nelle strutture economiche e civiche.
L’avvento del fascismo in Italia fornì ulteriori elementi per rinforzare il sentimento di coesione degli emigrati italiani, anche grazie al contributo delle autorità consolari. Contemporaneamente si organizzò in tutte le comunità italiane del Canada la rete degli antifascisti ed esplose ovunque la rivalità tra due opposte visioni dell’italianità. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, l’Italia e il Canada si trovarono negli opposti schieramenti. In Canada vennero applicate le misure di sicurezza nazionale che identificavano tutti gli immigrati italiani come nemici stranieri e li sottoponevano a un regime di controllo, vigilanza e sospensione dei diritti civili. Inoltre centinaia di individui classificati come “soggetti pericolosi” vennero internati nei campi di prigionia.
Con la fine della guerra e la ripresa dei flussi migratori, il Canada fu uno dei primi paesi a concludere con l’Italia speciali accordi bilaterali per il reclutamento di lavoratori. Inoltre nel 1948 venne inaugurata la politica della “sponsorizzazione” che rendeva molto agevole l’ingresso nel paese ai richiedenti che avessero già un parente in loco che si offriva come garante. Tra il 1948 e il 1967 il 90% degli immigrati italiani entrò in Canada grazie a questo sistema.
Fino alla metà degli anni ’60 l’Italia fu la seconda nazione di provenienza degli immigrati (dopo la Gran Bretagna). In questa fase di flusso più intenso, si inserisce l’esperienza migratoria dei trentini. Tranne sporadiche eccezioni, i trentini cominciarono a trasferirsi in Canada dopo il 1949. Si diressero verso tutte le regioni del paese anche se la maggiore concentrazione si registra nelle città più grandi. Molti trentini furono impiegati nell’ambito ferroviario dove negli anni ’50 e ’60 ebbe successo la Compagnia Welch di proprietà di due fratelli immigrati dalla Calabria nel 1885. La famiglia Welch (in origine Veltri) ebbe un ruolo fondamentale nell’industria canadese fino al 1975. Negli anni di più intensa attività, dal 1951 al 1957, più di 8000 lavoratori – per metà italiani e per metà portoghesi – emigrarono in Canada grazie ad un contratto con la ditta Welch.
Nel 1967 la politica delle sponsorizzazioni venne ridotta a favore della selezione sulla base delle qualifiche professionali. Questo cambiamento comportò un calo vertiginoso dell’immigrazione dall’Italia che negli anni ’70 rappresentava solo il 3% del flusso in entrata. Per la maggior parte degli italiani l’esperienza in Canada può essere considerata una vicenda migratoria dall’esito positivo. L’espansione dell’economia offrì delle opportunità ai lavoratori stranieri che gli italiani furono in grado di cogliere. I dati ufficiali relativi al periodo 1961–1986 mostrano all’interno della classe operaia un’ascesa professionale degli italiani pari a quella dei canadesi. Significativa è inoltre la presenza degli italiani nelle professioni liberali, nelle mansioni direttive, amministrative e nelle attività autonome e imprenditoriali. La conferma del successo del processo migratorio italiano si ha anche osservando le statistiche sul tasso di istruzione delle seconde e terze generazioni.
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